In uno degli ultimi post che ho scritto, facevo riferimento ad un incontro tenuto dalla psicologa dello sportello della scuola frequentata da mio figlio, il cui tema erano le ansie, i timori e le preoccupazioni di figli e genitori. In quel post ero intervenuta a proposito dell’opportunità, spesso vissuta con scetticismo e preoccupazioni, di mandare i nostri figli in vacanza coi nonni. Un’altra paura molto sentita e manifestata durante quell’incontro è quella che riguarda la pedofilia.

Mi sono sentita in quel contesto di intervenire per “raccontare” la mia esperienza in relazione ad Emanuele, mio figlio. Emanuele ha nove anni e mezzo, e da qualche tempo comincia a segnalare maggior bisogno di autonomia. Niente di trascendentale, per carità, magari mi chiede di poter andare da solo nella cartoleria sotto casa mia o di fermarsi dieci minuti in più al parchetto che io vedo dalla mia finestra; durante le vacanze lo lascio andare a prendersi il gelato al bar del parco-giochi frequentato (vigilato da lontano), mi dice di sentirsela di rimanere in casa da solo il tempo che io scendo a prendere il pane all’angolo della strada.

Di fronte a queste sue manifestazioni, desideri, bisogni di dimostrare che sta diventando grande, ho sentito l’esigenza di parlare con lui dell’argomento pedofilia. L’ho fatto con grande serenità e semplicità, come si addice ad un bambino della sua età, senza alcuna remora od imbarazzo. Gli ho spiegato che ci sono delle persone “malate” che nella loro testa sono rimaste dei bambini e cercano quindi rapporti sessuali con bambini, che questo non è normale; di non pensare che siano persone sporche, vestite male o con gli occhi cattivi, ma che, anzi, si manifestano come le persone più gentili ed amorevoli verso di loro.

Gli ho anche detto che non posso conoscere personalmente o profondamente tutte le persone con cui lui è in contatto, dall’insegnante di ginnastica della scuola al bagnino, che non sempre od ovunque lui vada (vedi ad esempio le uscite scolastiche) io, suo papà o i nonni possono essere con lui. Perciò è meglio che lui non si apparti da solo e che, dato che noi genitori siamo a conoscenza del problema, non deve avere alcun timore e vergogna – soprattutto vergogna – a parlare con noi se dovesse verificarsi che qualche adulto lo avvicini con intenzione di offrirgli qualcosa o altro.

Ho risposto con altrettanta tranquillità a qualche sua domanda di chiarimento, e quando mi ha detto di aver capito (ho avvertito il fatto che lui abbia avuto consapevolezza della serietà della spiegazione) siamo passati a chiacchiere di routine.

Esposta la mia esperienza qualche mamma si è “scandalizzata” della precocità con cui ho affrontato questo tema con Emanuele, per queste mamme sembrava fosse presto per tutto, anche per lasciare ai nostri figli minimi spazi di autonomia. Allora mi sono chiesta se dietro tanta ritrosia non ci sia forse il fatto che non parlare di certe realtà penose e drammatiche, voglia dire poter far finta che non esistano, non volerle vedere, o pensare che a noi non possa accadere.

Cerchiamo di dare loro tutti gli strumenti per crescere sereni ed equilibrati, nei mille piccoli gesti quotidiani, e poi ci tiriamo indietro quando si tratta di offrire loro mezzi per potersi difendere, proteggere, nel malaugurato caso in cui questo dovesse succedere?

In cuor mio, non me la sono sentita di non dare ad Emanuele la possibilità di guardare gli altri in modo critico; in questo avallata dalla sua maestra che mi ha confermato che questi argomenti sono temi di discussione anche a scuola, perché i bambini fanno molte domande in proposito.

Dobbiamo allora ancora delegare agli altri, per quanto qualificati, la responsabilità della crescita dei nostri bambini, responsabilità di cui dobbiamo prenderci l’onere soprattutto quand’essa è gravosa?