Molti ritengono che il sonno sia un’abitudine che dev’essere appresa. I metodi sono moltissimi: ci sono mamme che elogiano ciascuno di loro, quando funziona. Probabilmente non esiste un metodo infallibile per l’addormentamento, ma quando si è molto stanchi si è disposti a provare di tutto.Nel precedente articolo abbiamo parlato di quanto possa essere importante distinguere il motivo di un pianto, soprattutto notturno, e valutare il bisogno di contenimento in un bambino piccolo.

Diamo per assodato che il pianto inizia sempre per un motivo reale e concreto, un motivo valido (freddo, fame, incubi, naso chiuso,  male al pancino). Il pianto di un bambino esprime sempre un bisogno, anche se a volte non è immediatamente comprensibile e sembra “un capriccio”.

In questi casi, a prescindere dall’età del bambino, diventa determinante una modalità di risposta “notturna”: tutte le azioni che facciamo (cambiare il pannolino, cullarlo, consolarlo, anche offrirgli dell’acqua) devono essere fatte a luci soffuse, col massimo silenzio possibile, movimenti minimi, in modo da non attivare troppo il bambino.

Fatta eccezione per questi consigli, legati al buon senso e all’esperienza, ci sono casi in cui non si riesce proprio a spuntarla, e la notte diventa giorno, trasformando il tutto in “tragedia”. Perché?

Perché, come di dice, “tra il dire e il fare” ci siamo di mezzo noi stessi. Ciascuno di noi è unico, come è unica ogni relazione, ed è per questo che non sempre le buone prassi funzionano, e non basta applicare una regola per avere un risultato immediato.

Quando nasce un bambino, viene accolto in una specifica famiglia, in una rete di relazioni fatte di persone che non sono tutte uguali: un diverso corpo, un diverso respiro, diverso luogo in cui vivere.

Ogni bambino ha poi una sua specificità, e se è vero che è importante tenerne conto, è pur vero che il bambino si inserisce e si adatta a quel contesto relazionale di cui abbiamo appena parlato: la sua famiglia. Per questo motivo il benessere di ciascuno è il benessere di tutti.

In una famiglia ciascuno ha delle esigenze specifiche, e nella logica del prendersi-cura, è importante che i bisogni di tutti siano valorizzati e rispettati. A volte è davvero difficile trovare un compromesso tra le nostre esigenze e i bisogni spesso incomprensibili di un bambino.

Ma è per questo che esistono percorsi di sostegno alla genitorialità, “terapie” (termine in questo caso improprio) mirate alla ricerca di consapevolezza di se stessi e del proprio stare insieme agli altri nel nucleo familiare.

Le soluzioni sono spesso a portata di mano, ma essere immersi nel momento critico fa perdere la lucidità per valutare piccoli particolari (nel comportamento, nella vita quotidiana della famiglia) che fanno la differenza rispetto ad un disagio espresso dal bambino o da un altro componente del nucleo familiare.

Quando il bambino non è più un neonato, la difficoltà ad addormentarsi può essere un segnale di un disagio che “accade altrove”, e che chiede di essere visto. La notte diventa allora il momento per potersi esprimere. Perché questo accada, può dipendere da vari fattori.

Ci sono periodi della vita in cui la cosiddetta “ansia da separazione” diventa più forte (sia per il bambino che per i suoi genitori!): l’inizio della scuola, la nascita di un fratellino, un cambiamento.

A volte la soluzione migliore sta nel mettersi in discussione in prima persona, e chiedere aiuto rispetto ad una lettura del proprio comportamento genitoriale. Il motivo è che, a meno che non ci siano motivi legati a malattie fisiche o a situazioni particolari, il bambino è lo specchio delle dinamiche familiari.

Ritengo che un intervento centrato sul bambino, che non tenga conto delle persone che vivono con lui, non considera la reciprocità della vita familiare e il fatto che “il problema di uno è il problema di tutti”.

Lavorare coi genitori in difficoltà rispetto ad un passaggio della crescita dei propri figli diventa un modo per sostenere indirettamente il bambino ma con più leggerezza, non soltanto come intervento sulla “criticità”, ma come ricerca delle risorse sempre esistenti in ogni individuo, entrando in contatto non solo con le parti stanche e sofferenti, ma puntando soprattutto sulle quelle vitali e creative dei genitori.

E questo apprendimento diventerà utile per ogni occasione della crescita e della vita.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

foto: nanna.www.blogmamma.it