Il ciuccio può essere un prezioso alleato, capace di riportare la pace in un momento critico, ma può anche essere una “scorciatoia” per ottenere la tranquillità.
Vediamo cosa fare quando il ciuccio è un’abitudine che non riusciamo ad allontanare.Come mamma è per me molto difficile scrivere di questi argomenti senza pensare alla mia esperienza personale: ammetto di aver avuto anche io, nei primi giorni dopo il parto, il bisogno di interrompere quel pianto, e di avere provato anch’io col ciuccio la via della tregua.

La nostra difficile impresa di genitori è quella di metterci in discussione ad ogni pianto, ad ogni “crisi”, non senza il senso di spossatezza, ma convinti di lavorare a favore della relazione con il nostro sconosciuto pargoletto.

Quel che è successo a me è stato proprio il trovarmi costretta a tradurre, da una lingua a me totalmente sconosciuta, ogni pianto di quel turbolento periodo, e investire -con una fatica che ancora ricordo- sul mio essere accanto a mia figlia alla ricerca di soluzioni.

Ovviamente è necessario distinguere due momenti dello sviluppo del bambino: nella prima età della sua vita ogni piccolo è totalmente dipendente dall’Altro, e ha bisogno di aver fiducia nella presenza di chi accoglie e risolve il suoi problemi; gradualmente, il bimbo dev’essere guidato nella capacità di trovare soluzioni e diventare autonomo.

Il confine tra quando è necessario e quando se ne può fare a meno, quando si tratta del ciuccio, è davvero molto labile: non è semplice capire quando il bimbo è pronto a rinunciarci, e anche noi siamo pronti a fornirgli strategie alternative.

Sappiamo che l’uso del ciuccio è in molte famiglie un’abitudine consolidata, al punto da diventare oggetto di riflessione per molti genitori: quando toglierlo, e soprattutto come?

E’ sempre difficile per me generalizzare perché ritengo che ogni bambino abbia la sua storia, e che dentro ogni storia vi siano rimedi e soluzioni. Un’osservazione attenta del vostro bambino spesso fornisce suggerimenti utili e preziosi.
Nella mia esperienza, tuttavia, so che molte mamme le provano tutte, e non sanno davvero come fare.

Se vogliamo parlare di un’età di riferimento, direi che il periodo migliore è tra i due ed i tre anni: in questo periodo molto ampio (perché ogni bambino ci arriva coi suoi tempi) si costruisce la sicurezza di sé e la capacità di “trovare strategie alternative”.

Sarebbe auspicabile che il bambino potesse allontanarlo da solo, ma se così non è evitate che il distacco sia brusco ed improvviso: occorre molta pazienza e gradualità, e non per tutti funziona il metodo del “non c’è più”. Come modalità transitoria, ad esempio, si può concordare col bimbo un posto dove conservarlo e pattuire di prenderlo solo quando è lui a chiederlo (quando è proprio necessario, ad esempio quando deve dormire, e senza ciuccio non ce la fa).

In alcuni casi, piccoli premi per essere riuscito a non usare il ciuccio funzionano da incentivo al suo abbandono. Sono negativi, invece, rimproveri, punizioni, confronti con gli altri bambini, atteggiamenti che svalutano o criticano il bambino ed il suo bisogno del ciuccio.

Quando un bimbo non riesce a rinunciare al ciuccio, sta comunicando il suo bisogno di “non crescere”, sotto questo aspetto. Forzarlo è inutile, oltre che controproducente.
Proviamo ad “accompagnarlo” in questo bisogno, volgendo la nostra attenzione anche ad altri aspetti della sua quotidianità, cercando al più di circoscrivere l’uso del ciuccio solo ad alcuni momenti.

Come emerso dal percorso che abbiamo attraversato su questo argomento, non esiste una posizione univoca sull’utilità del ciucciotto, proprio perché tante e diverse sono le persone e le situazioni che si possono verificare.

Non dimentichiamo mai che ogni bisogno di un bambino si esprime dentro una relazione: le nostre attenzioni saranno per il bambino un conforto migliore e più forte di qualsiasi altro comportamento appreso.

Per questo motivo, interroghiamoci prima sulla nostra capacità di affrontare in prima persona il cambiamento: spesso un bimbo che non è pronto esprime la difficoltà che anche un genitore ha di andare avanti.

Infine, per aiutare un bimbo a crescere è necessario che ci siamo le condizioni adeguate: la nascita di un fratellino, l’inizio della scuola, o altri cambiamenti importanti, renderanno più difficile per un bimbo abbandonare vecchie certezze ed abitudini. Sia per lui che per noi.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

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